Chi scrive, da sempre, ha esternato la sua idea relativamente al “famigerato accordo” sul riordino del gioco: cioè che lo Stato, oggi, vi sia stato “costretto” per salvare la faccia e perché “subissato” da situazioni spinose che sono emerse nel settore, tra le sue imprese, gli operatori ed il sociale. Si è scritto un mare di parole sul perché il fenomeno del gioco fosse diventato “così presente” sull’italico territorio ed anche sul perché il Governo -che pur aveva regolarizzato il gioco tanti anni orsono per cercare di limitare l’illegalità ed il possesso del settore da parte della malavita- non intervenisse per mettervi un freno e “latitasse” così a lungo nei suoi interventi.
Sino a quando non è intervenuto il sottosegretario Baretta prendendo in mano la scottante problematica del gioco per riordinarlo e riformarlo e, sopratutto, per ristabilirne l’offerta e per concertare il rientro “della sua riserva nelle braccia statali”: è stato un lungo percorso nel quale l’Esecutivo ha dovuto “quasi chiedere scusa” all’opinione pubblica ed ha dovuto prendere atto della situazione sanitaria che si è creata negli anni relativamente alle derive che l’abuso del gioco ha potuto provocare sul territorio.
Una presa di coscienza, almeno apparente, nella quale il Governo ha dovuto “fare i conti con sé stesso”, con le risorse che il gioco ed i casino con bonus hanno portato nella casse dell’Erario in questi anni e le esigenze sociali ed amministrative (Enti Locali e Regioni): per questo, si è reso indispensabile intervenire invertendo la “tendenza del suo pensiero” e non guardando solo a “salvaguardare i buchi statali di bilancio”, ma mettendo al primo posto, come priorità, la salute pubblica ed i territori.
Il Governo ha dovuto affrontare il fenomeno del gioco estremamente diffuso con 100mila punti sul territorio ed un impegno da parte degli italiani di circa 90 miliardi per il gioco. Con il gioco l’anno scorso sono stati incassati ben 10 miliardi che sono da attribuire a 14 milioni di persone che giocano mediamente: di questo “mare di giocatori” 700mila sono le persone a rischio di gioco problematico.
Questa è la “fotografia” di un settore di fronte alla quale lo Stato ha deciso (smettendo la sua latitanza) di intervenire, mettendo le basi per arrivare all’accordo sul riordino e, sopratutto, affrontando un aspetto contraddittorio della situazione: da un lato lo Stato che incassa dal gioco e dall’altro il disagio sociale che questo può provocare. In più, ha dovuto anche affrontare il “potere” che gli Enti Locali avevano acquisito, per mancanza di una legislazione nazionale, al fine di tutelare i relativi territori inserendo ordinanze contro il gioco e le distanze dai luoghi sensibili.
Ben presto, però, tutti si sono resi conto che gli orari e le distanze non allontavano il gioco dai giocatori, ma spostavano solo il tutto dai vari centri nelle periferie che già per loro “stato” vivono situazioni sociali non certo brillanti e peggiorando, forse, così la situazione. Di fronte a questo scenario, che si palesava sempre più difficile, si stava mettendo in atto una linea proibizionista nei confronti del mondo del gioco d’azzardo in cui lo Stato non crede assolutamente, poiché così il gioco non “sparisce”, ma finisce in canali incontrollabili ancor più negativi per il sociale. E da qui alla proposta ed alla sigla dell’accordo sul riordino il passo “non è stato breve”, ma difficoltoso ed irto… ma è arrivato, insieme alla presa di coscienza.