Cenni Storici
Fondato dai Visconti nel 1300 si chiamava Castello di Porta Giovia, situato immediatamente al di fuori delle mura medievali. Dopo la sua parziale distruzione durante la “Repubblica Aurea” (1447 – 50), fu Francesco Sforza a ricostruirlo per farne la sua dimora. Il castello continu� a subire lavori di ritocco ed ampliamento ad ogni cambio di regime: prima il Moro fino al 1499, poi pi� tardi sotto il dominio spagnolo a met� del 1500, fino ai francesi nel 1800.
Ma la veste odierna del castello si deve al pi� importante dei lavori di riassetto: quello di Luca Beltrami, a cavallo fra ‘800 e ‘900, che reinvent� la fortezza con importanti aggiunte e cambiamenti.
Rilevanza Artistica
Per quanto spesso si presenti la fortezza come edificio rinascimentale, i lavori del Beltrami hanno avuto un rilievo tale che sembra pi� corretto parlare di un complesso di gusto eclettico. Il suo interesse sta proprio nella compresenza delle tracce che ciascuna epoca ha lasciato sul castello. Novecentesco � il profilo che si apre maestoso su via Dante, con al centro la Torre del Filarete (la torre storica fu distrutta da uno scoppio nel 1521). Fanno invece parte del gruppo originario i tre corpi di fabbrica della Rocchetta. La corte Ducale ha di sfondo invece il portico dell’Elefante, che risale al 1473. Al suo interno i Musei del Castello custodiscono tesori di grande rilevanza, sia storica che artistica tra cui antichi manoscritti come il Codice Trivulziano di Leonardo o la Piet� Rondanini di Michelangelo.
Curiosità
Il castello ha rischiato innumerevoli volte nel corso della sua vita secolare di essere distrutto. Messo all’asta per la demolizione dal governo della Repubblica Aurea, furono diverse le amministrazioni che deliberarono di raderlo al suolo: prima gli spagnoli, poi lo stesso Napoleone fecero brillare le prime mine, per poi in seguito cambiare idea. Da ultima, negli anni conclusivi del 1800, la stessa giunta municipale decise di edificare al posto del castello un’ampia area residenziale. A convincere l’allora sindaco Giulio Belinzaghi a fermarsi fu proprio il Beltrami, contro l’opinione di molti che, come il politico Cesare Correnti, guardavano alla fortezza come un monumento di cui liberarsi.