Sedici colonne dure a morire
di Bruno Pellegrino
tratto da “Porta Ticinese” Libreria Milanese 1996
Lo splendido colonnato di S. Lorenzo rappresenta l’ultimo e pi� cospicuo avanzo della citt� romana. “Regine di tutte le fabbriche che si ammirano a Milano, per moderne che siano”, le sedici marmoree colonne posano da altrettanti secoli in fregio alla basilica laurenziana: illustre eccezione alla regola che vuole la nostra citt� eterna divoratrice di se stessa. La prima prova di s� la diedero quando riuscirono miracolosamente a scampare all’incendio del tempio- pagano a cui si presume appartenessero in et� imperiale e che doveva trovarsi non molto lontano, forse sull’area dell’odierna piazzetta S. Maria Beltrade. Raccolte tra le macerie fumanti, andarono a coronare il sagrato della basilica paleocristiana che fin dalla met� del IV secolo era sorta fuori della primitiva porta Ticinese.
Quasi ritemprate da quel battesimo del fuoco, superarono con gagliarda noncuranza anche i furiosi incendi che a pi� riprese si abbatterono sul complesso laurenziano, tra cui, particolarmente funesti, quelli del 1071 e. ancora, del 1120 e 1124. Schivarono in seguito la furia di Attila, Uraria e, persino, del Barbarossa che, per la verit�, si comport� sempre da gran signore nei riguardi degli edifici sacri di Milano.
Scampate ai restauri romanici della basilica nonch�, pi� tardi, alle pesanti attenzioni che i due Borromei riserveranno, ahim�, all’edilizia religiosa cittadina, trovarono un insospettato paladino in Ferrante Gonzaga, pur solito mozzare campanili e spianare portici, quando rischiaro- no di venire abbattute dagli urbanisti nostrani, decisi ad ampliare il corso di Porta Ticinese per agevolare il solenne ingresso di Filippo II. Per di pi�, in quel frangente, il buon governatore si premur� di restaurarle. Altri urbanisti, sempre nostrani, che due secoli dopo le avrebbero volentieri spianate in omaggio al criterio di rettilineit� del corso, si scontrarono con la fiera opposizione degli intellettuali del tempo, capeggiati da Pietro Verri, che finirono per spuntarla.
E saranno ancora i benemeriti custodi del decoro cittadino a intervenire quando, nell’Ottocento sbrigativo, sull’illustre rudere si abbatteranno le ire mal represse dei filoneisti milanesi. Per finire, scampate ai guasti del ’43 e alle vibrazioni insidiose dei tram, ora costretti a passarvi a rispettosa distanza, le sedici tenaci colonne, riassestate, ripulite e infilzate con pilastri di cemento, pare abbiano conquistato uno stabile diritto di domicilio, cos� da riprendere con maggior lena a sostenere la massiccia trabeazione che da tanti secoli grava sugli eleganti capitelli corinzi.
Ai capi del colonnato sorgevano un tempo due graziosi altarini collocativi da s. Carlo durante la peste. Quello verso il Carrobbio recava dipinto l’”Incontro di Cristo con la Vergine sul Calvario” ed era detto Crocetta del Mercato perch� d’in- torno si affollavano i banchi d’un mercato di erbaggi. Esposto da secoli alle intemperie, se n’� persa oramai ogni traccia e al presente lo sostituisce, al riparo d’una nicchia, una Madonna con Bambino in terracotta. Accanto, nel primo intercolumnio, sta murata una lapide romana dedicata a Lucio Aurelio Vero ” … FIGLIO DEL DIVO ANTONINO/NIPOTE DEL DIVO ADRIANO/PRONIPOTE DEL DIVO TRAIANO/ABNIPOTE DEL DIVO NERVA/������� ../…. Lapide che, rinvenuta nel 1625 durante dei lavori di scavo eseguiti nelle vicinanze, venne, non si sa bene perch�, qui appiccicata per ricordare i trionfi dei condottiero romano sugli Armeni e sui Parti. Al capo opposto delle colonne di S. Lorenzo compare un altro altarino, simile a quello dove nel 1576 s. Carlo celebr� la Messa per far cessare il flagello della peste. Ora, in luogo dell’originale, sta l’immagine frescata di un Cristo ai cui piedi intristisce, visto che non pu� appassire, smunto fiore di plastica. Verso la base si legge: “P. RIVETTA fece nel 1958 / rifece nel 1974”. Proprio qui aveva un tempo inizio l’angusto vicolo di S. Aquilino che, serpeggiando fra logori abituri, conduceva all’omonima cappella della basilica laurenziana.