Punto di partenza dell’itinerario è la piazza XXIV Maggio, storico luogo di mercato e di snodo fra città e campagna, ancora oggi ricco di attività commerciali. Al centro campeggia l’Arco neoclassico costruito da Luigi Cagnola per celebrare la vittoria di Napoleone a Marengo (1800), poi più prudentemente dedicato alla pace di Vienna del 1815. Ai lati rimangono i due caselli daziari con murature in finto bugnato a intonaco. Da qui parte Corso di Porta Ticinese, la via che nel Medioevo doveva percorrere chi arrivava da Pavia, allora chiamata appunto Ticinum.
Appena imboccata la via, appare subito sulla destra la basilica di S. Eustorgio che si affaccia sull’omonima piazza. Sul sagrato della chiesa, all’ombra degli alberi, s’innalza la statua di S. Pietro Martire, monumento seicentesco dedicato a Pietro da Verona, già Inquisitore Generale di Milano che, assassinato da due sicari il 6 aprile 1252, ora riposa all’interno della basilica. Proseguendo lungo il Corso, scorrendo le botteghe ed i negozi, si passa per la stessa via che gli arcivescovi milanesi, per tradizione, dovevano percorrere il giorno del loro insediamento.
Dovevano passare per la Porta Ticinese Comunale che dava un tempo accesso alla città. La struttura è del XII secolo, poi rifatta nel 1300; la precedeva verso la campagna un ponte sotto cui scorrevano le acque del naviglio e che venne restaurato nel 1866 per poi sparire con la copertura della fossa. L’arco, che assieme a Porta Nuova rappresenta l’unica superstite delle originarie sei porte della cinta medievale, aveva la particolarità d’essere costituita da un unico fornice a tutto sesto. I due archi minori a sesto acuto che ora la fiancheggiano vennero ricavati nei corpi più avanzati delle torri laterali nel 1861. Il grande arco centrale ospita sulla fronte esterna un tabernacolo di Giovanni di Balduccio raffigurante in rilievo la Vergine col Bambino ai cui piedi si riconoscono S. Ambrogio, S. Lorenzo, S. Eustorgio e S. Pietro Martire.
Appena oltre la Porta si offre uno degli scorci più suggestivi e noti della città: il filare delle Colonne Romane di fronte alla Basilica di S. Lorenzo. Siamo ormai nel cuore di quella borgata che i milanesi chiamavano “La Vetra dei Cittadini”. Proprio alle spalle della basilica laurenziana si trova la piazza Vetra, così chiamata perché nel Medioevo bagnata da un omonimo corso d’acqua.
Arrivando dal lato destro di S. Lorenzo ci si imbatte nella statua di S. Lazzaro . Non deve ingannare la prospettiva placida e rilassante che da qui si gode fino al campanile di S. Eustorgio, attraverso il Parco delle Basiliche: ci troviamo in quello che per secoli fu il campo “scellerato” dove avvenivano le pubbliche esecuzioni. Inaugurato da Ariberto D’Intimiano che bruciò un’effige dell’Imperatore nel 1043, questo scorcio fu testimone di innumerevoli roghi, specie durante il periodo dell’Inquisizione, il cui tribunale aveva sede poco lontano, in Corso di Porta Ticinese. I condannati arrivavano sul luogo del supplizio attraversando un ponticello di legno, subito battezzato “Ponte dei sospiri”, che attraversava la Vetra all’altezza dell’attuale via delle Pioppette. Qui mosse i suoi ultimi passi anche quel Gian Giacomo Mora di cui parla Alessandro Manzoni nella “Storia della Colonna infame”.
Lasciata piazza Vetra torniamo sul corso per arrivare al Carrobbio, in epoca medievale crocicchio nevralgico a ridosso della porta. Da qui parte un budello di strade e vicoli il cui incedere tortuoso porta nel cuore della Milano di un’epoca scomparsa. Infilando la via del Torchio si arriva alla via Circo, così chiamata perché seguiva l’antica curva del Circo Romano che qui sorgeva. Sulla destra, all’interno di un giardino privato, sono visibili resti del Circo o di conglomerato romano ad esso adiacente. Al n. 7 troviamo una deliziosa palazzina del primo ‘800 il cui portale ad arco ci introduce in un cortile che è forse l’ultima traccia dei chiostri della chiesa di S. Maria ad Circulum che qui sorgeva sulle rovine della costruzione romana. Imboccando via Medici, torniamo sul Carrobbio. A questo incrocio, seminascosta dai palazzi, resiste una porzione di una delle torri della Porta ticinese, detta “Torre dei Malsani” poiché qui aveva sede un ospedale per lebbrosi.
Di nuovo ci rituffiamo nei vicoli prendendo a sinistra la via S. Sisto, con l’omonima chiesetta ora sconsacrata e sede di mostre – che ci porta, attraverso p.zza Mentana in via Bagnera. Una volta nota come “stretta”, conserva più di ogni altra a Milano il calibro ed il tracciato di una volta. Rieccheggia il nome dei “bagni” , ovvero delle terme, connessi al palazzo imperiale. La sinuosità del vicolo nasconde fosche vicende d’altri tempi. Qui infatti abitava il famigerato Antonio Boggia, l’ultimo cittadino milanese a cui toccò la pena di morte. L’uomo, un insospettabile incensurato, collezionò ben quattro decapitazioni ai danni di altrettante donne, prima di essere scoperto ed impiccato a Porta Ludovica. La “stretta” sbuca in via Torino, proprio all’altezza della chiesa di S. Giorgio al Palazzo.
Proseguendo su via Torino ci imbattiamo nel civico tempio di S. Sebastiano. Eretto nel 1577 in seguito a un voto contratto in età di peste, questo edificio cilindrico a due piani subì diversi ritocchi, di cui l’ultimo in epoca recente, quando nel 1951 Manzù scolpì nel bronzo la porta di una delle tre aperure che si aprono dalla pianta circolare. Tornando un po’ indietro sulla via Torino svoltiamo a destra in via Val Petrosa. Qui vale la pena soffermarsi sulla Casa dei Griffi un edificio quattrocentesco che dietro una facciata anonima nasconde un bel cortile rinascimentale, impreziosito sui pennacchi degli archi da medaglioni con teste di imperatori romani e di personaggi mitologici.
Via Val Petrosa ci conduce al cuore dell’antica città medievale: p.zza San Sepolcro . In questo punto, anche se la cosa non è del tutto acclarata, all’incrocio fra le due arterie romane, cardo e decumano, sorgeva il Foro, che si estendeva da piazza San Sepolcro fino a piazza Pio XI. . Quando poi il centro della vita cittadina si trasferì in piazza dei Mercanti, il Foro lentamente decadde, sostituito da nuove costruzioni, prima fra tutte la chiesa di S. Sepolcro La piazza ci racconta tutta la storia e l’arte di quasi un millennio ambrosiano. L’Alto Medioevo si cela nelle profondità della cripta della chiesa; il rococò della facciata fa da contrappunto al primo Rinascimento della piccola corte in Casa dei Castani, in piazza Pio XI, alle spalle di San Sepolcro; il tardo Rinascimento in Casa Rabia-Feltrinelli che cela nel giardino un lapidario romano, il Barocco seicentesco domina la facciata posteriore della Pinacoteca Ambrosiana mentre il Neoclassico risalta nella cancellata e nella ottocentesca Casa Marietti, a nord-ovest della piazza. Dalla piazza una piccola deviazione ci mostra via della Zecca Vecchia. Il nome è anche troppo chiaro per profondersi in spiegazioni. Diremo solo come, nel glorioso Quattrocento lombardo, questa fosse una fra le più attive e importanti zecche d’Europa. La via ha inoltre un curioso andamento: al n. 5 è misteriosamente rimasto impigliato nelle ragnatele della storia, sotto l’androne, un rilievo cinquecentesco con “La Madonna del Latte”. Il vecchio palazzetto conserva i resti di varie strutture giustapposte, con sale dai soffitti a cassettoni e nel cortile, balconcini rococò e due colonnine gotiche.
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